L’ottimismo ai tempi del Covid-19

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LE PAROLE SONO IMPORTANTI


Questo 2020 sarà una cicatrice che ci porteremo tutti addosso per gli anni a venire. Una cicatrice fatta di dolore, angoscia, lutti, incertezza per il futuro, costrizione, distanziamento sociale, mascherine, abnegazione. La necessità di andare comunque avanti mi spinge a questa riflessione.
In realtà è un dubbio che mi assale dall’11 marzo, giorno di promulgazione del DPCM, ossia: ma le pasticcerie sono state fatte chiudere perché le hanno confuse con le caffetterie?
Le parole sono pietre, come ha scritto Carlo Levi, infatti in questo caso si è trattato di sancire la condanna alla chiusura o, nella migliore delle ipotesi, al ridimensionamento di migliaia di attività come la mia.

Articolo 2: Sono sospese le attivita’ dei servizi di ristorazione (fra cui bar, pub, ristoranti, gelaterie, pasticcerie)
mentre lascia operativi i negozi di commercio al dettaglio di prodotti alimentari, bevande e tabacco in esercizi specializzati, quindi macellerie, panifici, drogherie, gastronomie, pastifici e altre meravigliose attività artigianali che fanno grande il nostro paese.

Non vedo altra spiegazione, è evidente che la vendita di prodotti in queste attività è sovrapponibile a quella delle pasticcerie, e penso anche che i dolci siano beni di prima necessità, forse non per il corpo, ma sicuramente lo sono per lo spirito.

Anche il fatto di non discriminare tra caffetteria e pasticceria non si spiega, poiché il caso più emblematico sono i panifici-pasticceria-caffetteria che, pur chiudendo la parte caffetteria, continuano a vendere pane e, ahimè pasticceria fresca; o i bar-tabacchi che continuano a vendere i tabacchi tenendo chiuso il bar.

Quello che comunque ora mi conforta, e che mi porterò per sempre come lenitivo della mia cicatrice è lo tsunami della solidarietà, il sostenersi, il cercarsi, i valori dell’amicizia che ora sono più amplificati che mai, e che seppelliscono i sordi latrati degli sciacalli.

Buona Pasqua
Alessandro Ardizzoni

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Panettone tutto l’anno? No grazie

 

Ci risiamo, arriva l’estate e puntuale come i consigli di non uscire nelle ore più calde e bere molto, torna il protagonista dell’estate italiana: il Panettone. No, non sono uscito alle 14 col sole a candela e bevendo anche poco, è una boutade, lanciata qualche anno fa da Davide Paolini, e puntuale come la risacca, arriva il mio commento.

Lunedì 25 luglio a Parma, una nutrita schiera di Pasticceri di fama, tra cui il mio caro amico Carlo Pozza, presenterà una versione estiva del Dolce Natalizio per eccellenza.

Le parole del Gastronauta sono chiare, in uno dei suoi ultimi post dice “sdoganare il panettone dai vincoli natalizi imposti dalla tradizione” la mia domanda è: perché? Per il mercato? Per la logica della rete del tutto e sempre a disposizione? E’ finito il gelato?

Sinceramente non l’ho capito, si parla tanto del riscoprire le piccole cose, di migliorare la qualità della vita, del ritorno a dei ritmi meno frenetici, la stagionalità, tanto celebrata in uno splendido libro dello stesso Paolini, la cadenza della tradizione, che indica la via ai sensi; il bisogno di mangiare un buon panettone ti viene solitamente dopo aver dimenticato quella splendida granita al limone che ritroverai il prossimo agosto, quando comunque avrai già dimenticato l’abbuffata godereccia delle frittelle di carnevale, e così via, in tutti i borghi d’Italia con le mille peculiarietà ed i prodotti tipici e tradizionali.

Siamo troppo rigidi? forse, non sappiamo cogliere le opportunità? probabile, per noi invece, è solo rispetto. Peccato non poter riportare qui lo sguardo esplicito di mio padre, 77 anni, pasticcere da una vita, quando gliene ho parlato, sarebbe stato più esaustivo di tutte le mie parole.

Quindi, Panettone estivo? No grazie

 

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I Dolci delle feste, le Fave dei Morti

Quando il freddo comincia a farsi sentire e le giornate si accorciano bruscamente per il passaggio all’ora solare, passate le sbornie di feste importate, peraltro sempre meno sentite, inizia il più intimistico dei mesi, novembre.
Comincia con “i Morti”, con la tradizionale visita ai cari defunti, con il ritrovo fra parenti ed amici, e queste occasioni spesso diventano momenti di convivio, nella nostra regione, la tavola usualmente si imbandisce con soppressa, castagne, patate americane, vino nuovo e le fave, le “Fave dei morti”.
Nel periodo classico la fava, il  legume, veniva considerato un’offerta funebre, ai nostri giorni, le fave dolci hanno sostituito l’originale. Sono diffuse in quasi tutta Italia, e vengono generalmente fatte con le mandorle, mentre nella tradizione veneta/veneziana esse sono, o meglio dovrebbero, essere realizzate esclusivamente con pinoli, molto più costosi delle mandorle, più pregiati e dal sapore più delicato. Le fave così ottenute sono  leggere, croccanti, e si sciolgono in bocca.

Le Fave dei morti

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Q.M.

Recentemente ho comprato due libri di pasticceria realizzati da colleghi di fama. Che non si smetta mai di imparare è una cosa assodata, che la mia curiosità mi spinga a mettermi in discussione anche, per cui con la serenità del monaco, e con le mie competenze ho affrontato i due tomi.

Nel primo, ho trovato: precisione, rispetto, bravura, eleganza, e ovviamente ricette, tante ricette, riportate con chiarezza e dettagli, facilmente realizzabili dalle persone a cui è rivolto questo libro, nel secondo invece, a parte la spocchia, l’autocelebrazione, l’impartizione di precetti non richiesti, temi di marketing trattati in maniera a dir poco dilettantistica, ci sono le ricette, e qui viene il bello, a vederle sembrano improbabili, ma a realizzarle è ancora peggio. Sempre con serenità, anche se stava montando un sentimento di rabbia per il mio incauto acquisto, assieme al mio staff ho affrontato tre ricette. Non una, non due, bensì tre volte per scoprire, nella migliore delle ipotesi, che la nostra ricetta è almeno a tre milioni di anni luce avanti, nella peggiore che anche seguendo pedissequamente quanto riportato, il prodotto proprio non riesce, e credo che in esperienza non siamo proprio carenti.

A mente fresca, sono ancora convinto che tutto aiuti a crescere, ed ho trovato almeno due cose positive nel secondo libro: una è che ho capito come non voglio essere o diventare, due che ne farò lo stesso uso che usava fare uno dei miei personaggi letterari preferiti, Pepe Carvalho.

Dimenticavo, chapeau a Omar Busi, autore del primo libro “Cookies”

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